Diversi sono i modi in cui può essere ripensato l'impiego delle materie plastiche, lungo tutte le fasi della filiera, dalla produzione al momento dell'uso del prodotto finale. Così da non produrre danni all'ambiente e così che gli stessi che usufruiscono di questi prodotti e dei loro servizi ne recepiscano il valore aggiunto.
Secondo i dati raccolti e pubblicati nel 2016 dalla Ellen MacArthur Foundation assieme al World Economic Forum e a McKinsey & Company nel report “The new plastics economy – Rethinking the future of plastics”, la produzione globale di materie plastiche ha superato i 300 milioni di tonnellate metriche all'anno. Si prevede che questa quantità sia destinata a raddoppiare nel corso dei prossimi venti anni. È stato calcolato che a livello mondiale solo il 14% dei rifiuti plastici generati dall'imballaggio viene raccolto e di questo solo il 10% viene riciclato, mentre la restante quota finisce in parte incenerita (14%), in parte mandata in discarica (40%) e in parte dispersa nell'ambiente (32%). Tanto che si è stimato che se si prosegue con il modello attuale, per il 2050 negli oceani saranno presenti più rifiuti plastici che pesci. Questo processo può essere rallentato e bloccato grazie all'impegno anche degli stessi operatori della filiera delle materie plastiche. Non mancano in giro per il mondo buone pratiche portate avanti da diversi operatori del settore e dalle istituzioni.
Nuovo combustibile
Un esempio recente e interessante arriva dalla Gran Bretagna. Qui, secondo il modello dell'economia circolare, una società con base a Swindon, nel sud-ovest dell'Inghilterra, ha messo a punto una tecnologia che permette di portare i rifiuti plastici a nuova vita sotto forma di combustibile.
Recycling Technologies Ltd ha infatti messo a punto un processo che è in grado di trasformare i rifiuti in plastica in un idrocarburo a bassissimo contenuto di zolfo e ad alto contenuto calorifico, che rispetta le nuove regole del settore dei trasporti marittimi in termini di qualità del combustibile. Queste regole prevedono che per il 2020 debbano essere utilizzati combustibili solo con contenuto di zolfo non superiore allo 0,5%.
Il processo sviluppato da Recycling Technologies avviene grazie al macchinario RT7000 che l'azienda inglese ha realizzato con l'intento di offrire una soluzione dai costi contenuti, di rapida installazione presso impianti di raccolta dei rifiuti o di riciclo, e facilmente adattabile ai quantitativi di rifiuti che ogni centro deve trattare.
La macchina allo stato attuale è in grado di trattare fino a 7000 tonnellate all'anno di rifiuti plastici, di tutte le tipologie in termini di materiale e di prodotto, comprese quindi le tipologie che attualmente non sono riconosciute come riciclabili.
L'impianto include un sistema di separazione in cui mediante scansione vengono tenuti entro livelli accettabili le eventuali contaminazioni, mentre materiali come pietre e vetri vengono rimossi. Il materiale viene poi frantumato ed asciugato prima della fase del riciclo chimico.
Nella fase successiva le lunghe catene di carbonio delle plastiche vengono trasformate in catene più corte nell'unità per il cracking termico. Il vapore che lascia il reattore viene immesso nel modulo di separazione, dove viene filtrato da impurità come particelle solide e composti chimici non desiderati. Il gas così raffinato viene poi fatto condensare nel prodotto finale Plaxx, mentre le parti che non si possono condensare vengono reimmesse nel processo.
Plaxx, potrà essere utilizzato anche per la produzione di nuove plastiche, riducendo notevolmente la dipendenza dai combustibili fossili primari. L'ambizioso obiettivo di Recycling Technologies nel lungo periodo è di poter arrivare a recuperare fino al 70% dei rifiuti plastici presenti a livello globale, grazie all'impiego di questa nuova tecnologia.
Recentemente è già stato costruito e testato con successo un impianto pilota di dimensioni sufficientemente vicine a quelle realmente necessarie, presso un impianto di riciclo della Advanced Plastic Recycling in Scozia, che già ricicla oltre il 90% del materiale.
Al momento si sta ancora lavorando all'implementazione di Plaxx come risorsa per la produzione di nuova plastica e all'uso come paraffina.
Reti da pesca e tappeti
Net-Works è invece un esempio di come la collaborazione tra diverse realtà possa apportare dei netti miglioramenti nelle entrate di famiglie ed aziende e nel recupero di aree danneggiate dall'abbandono di alcune tipologie di rifiuto. L'iniziativa Net-Works, nata dalla collaborazione tra il produttore inglese Interface di tappeti, moquette e rivestimenti per pavimenti e il produttore di nylon Aquafil e la Società Zoologica di Londra, ha dato modo, fin dal 2012 ad oggi, a trentasei comunità nelle Filippine e in Camerun di avere un'entrata in più nelle casse familiari e nei villaggi, con il coinvolgimento di ben 62mila persone.
Interface riesce a produrre alcuni dei suoi prodotti interamente con nylon riciclato e rilavorato presso un impianto in Slovenia della Aquafil, grazie anche alle 132 tonnellate metriche di reti da pesca in nylon recuperate dai fondali dei fiumi e lungo le coste di Filippine e Camerun.
Con il sistema di rigenerazione Econyl di Aquafil è possibile infatti produrre nylon 6 a partire da diverse tipologie di scarto, come quello derivato dalla lavorazione o quello derivato da prodotti a fine vita come reti da pesca, tappeti e tessuti vari. Il processo consente di ottenere Econyl, un nylon completamente a base di materiale riciclato, ma con le stesse prestazioni e la stessa qualità della poliammide vergine.
L'intenzione è ora di allargare a livello globale il progetto Net-Works, raggiungendo entro il 2020 altre 10mila famiglie e apportando all'ambiente un beneficio notevole ripulendo vaste aree dei nostri mari e con una ripercussione positiva si calcola su almeno un milione di persone.
Servizi non prodotti
A livello mondiale si utilizzano almeno fino a 140mila prodotti chimici. Alcuni di questi comportano dei rischi per l'ambiente o per la nostra salute. Le aziende del settore chimico stanno tuttavia muovendosi così da ridurre questi rischi. L'approccio infatti è cambiato, per cui alcune società anziché vendere i propri prodotti, in questo caso quelli chimici, secondo quantità che non è detto che siano esattamente quelle corrispondenti al reale utilizzo, offrono ora un servizio su misura. I prodotti sono quindi venduti su misura della reale quantità necessaria. DuPont, per esempio, vende le sue vernici sulla base del reale numero di parti verniciate, AkzoNobel fornisce i rivestimenti superficiali secondo i metri quadrati trattati, Henkel propone un quantitativo di adesivi sulla base delle bottiglie etichettate, Ecolab fornisce i prodotti detergenti sulla base dei metri quadrati che son da pulire e, infine, Nalco propone i suoi prodotti per il trattamento dell'acqua sulla base del volume di acqua che viene purificato. Questi sono solo alcuni esempi.
Naturalmente questo modello di vendita basato sull'effettivo quantitativo usato è applicabile soprattutto a dei processi di lavorazione. Questo sistema non solo permette agli acquirenti di essere forniti solo di quanto realmente necessario e secondo le prestazioni del prodotto chimico che acquistano, ma consente anche ai venditori di raccogliere presso i clienti i propri prodotti chimici per riciclarli e riutilizzarli.
Secondo uno studio realizzato dalla Agenzia Federale Tedesca per l'Ambiente, il modello pay-per-use (paga secondo quanto usi) ha permesso di ridurre tra il 10 e il 20% il consumo di prodotti chimici.
Ci sono diverse varianti di questo modello di business. Una prevede che l'azienda chimica fornitrice mantenga la proprietà del prodotto chimico e venda solo il servizio che questo fornisce. Questo significa che una volta che il prodotto fornito è stato utilizzato, il fornitore si riprende il materiale e lo ricicla pronto per un nuovo uso. Questa modalità è stata denominata “chemical leasing”.
Un'altra variante del pay-per-use vede fornitore di prodotto chimico e fornitore dell'attrezzatura necessaria per il suo utilizzo vendere insieme il servizio.
Un altro sistema che viene adottato molto in Nord America dalle industrie automobilistiche ed elettroniche è quello della gestione di tutti i prodotti chimici che vengono utilizzati da una azienda, indipendentemente dal fatto che questi siano stati tutti forniti dalla stessa società o da concorrenti. È il caso, ad esempio, della società PPG che gestisce la maggior parte dei prodotti chimici utilizzati da Ford Motors in uno dei suoi impianti. Sulla base di una tariffa per veicolo, il fornitore si occupa della fase di acquisto dei prodotti chimici, della spedizione, dello stoccaggio, del controllo delle emissioni e della gestione dei rischi, delle misure di controllo della qualità e della dismissione e riciclo dei prodotti chimici.
In Europa questo modello di business del pay-per-use nelle sue diverse varianti è ancora poco utilizzato, forse perché richiede una riorganizzazione delle modalità di collaborazione e gestione tra le aziende fornitrici e i loro clienti. Germania, Austria e Svizzera hanno tuttavia già siglato all'interno del proprio Paese una dichiarazione di intenti sul chemical leasing.
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