Nonostante le premesse, non rappresentano ancora la vera alternativa.
Il termine bioplastica, negli ultimi anni, ha avuto una diffusione sempre crescente, ed ha quindi assunto una importanza sempre maggiore nel dibattito scientifico. Tuttavia, è stato soprattutto un termine con il quale in certi ambienti pseudoecologisti ci si è riempiti la bocca, venendo usato come clava ideologica, ma senza un benché minimo contributo al dibattito stesso.
Per affrontare l’argomento in maniera costruttiva, è necessario dare innanzitutto delle definizioni corrette, perché il termine bioplastica viene tuttora utilizzato disinvoltamente per esprimere due concetti fra loro molto diversi, ovvero tanto le plastiche biodegradabili, quanto quelle originate dalla lavorazione di materie prime rinnovabili derivate dalla biomassa.
La definizione corretta, e la unica da prendere considerazione, è la seconda, così come viene data dalla International Union of Pure and Applied Chemistry (IUPAC), che stabilisce che un polimero è definibile a base bio solo se deriva dalla biomassa, o viene prodotto a partire da derivati della biomassa.
In Europa, si stima che il mercato delle bioplastiche avrà una crescita di oltre il 30% nei prossimi 10 anni.[1] Una prospettiva sono in apparenza promettente, dal momento che la quota di mercato attuale è stimabile in non oltre l’1% dell’intero mercato delle materie plastiche e difficilmente avrà una cifra significativamente superiore nel prossimo decennio.[2]
Queste premesse basterebbero da sole a condannare l’intero comparto delle plastiche bio ad una sostanziale irrilevanza.
Molte speranze sono riposte nell’attuazione del PROLIFIC[3], il progetto europeo che si prefigge di inserire il packaging europeo all’interno di un percorso di economia circolare[4], ma l’economia circolare è un concetto molto più complesso e che dipende solo in minima parte da una maggiore diffusione delle bioplastiche.
Bioplastiche e tossicità
Le bioplastiche, sbandierate troppo superficialmente e frettolosamente come alternative toccasana, non sono più sicure da un punto di vista tossicologico di quelle che pretendono di sostituire.
È stato oggetto di numerose attenzioni il recente lavoro di Lisa Zimmermann[5] nel quale, dopo attenta analisi di una serie di campioni di bioplastiche, si arrivava ad una duplice conclusione:
- Le bioplastiche sono suscettibili di contenere agenti inquinanti, al pari dei polimeri “petro”.
- La tossicità in vitro, misurata nei campioni di prodotto finale, è superiore a quella delle materie prime di partenza.
In sostanza, il fatto di essere polimero “bio” non darà necessariamente origine ad un prodotto meno tossico di uno “petro”, soprattutto se vengono utilizzati plastificanti come gli ftalati nella sua realizzazione, il cui contenuto è spesso alto, in casi estremi fino al 50% in termini di peso.[6] Nella definizione di tossicità sono da prendere in considerazione anche antiossidanti e stabilizzatori che migliorano la funzionalità del materiale, nonché solventi e catalizzatori che consentono la produzione.[7] Inoltre, sono sempre presenti i denominati NIAS, ovvero non intentionally added substances.[8]
Da un punto di vista chimico infatti, le bioplastiche non si differenziano in nulla da quelle che già conosciamo. Cambia solo la fonte della materia prima, ma il prodotto finale rimane invariato.
Guardando i fatti, tutte le plastiche, indipendentemente dalla loro origine, contengono mix di sostanze chimiche sia conosciute che sconosciute, ed alcune di queste possono essere in varie misure tossiche.
Bioplastiche e packaging cosmetico
Uno degli elementi che stanno in maniera sempre crescente influenzando le scelte dei fabbricanti al momento di definire il packaging, è la consapevolezza del consumatore sull’importanza di utilizzare prodotti che abbiano minore impatto ambientale. Seguendo questa logica, i materiali utilizzati per la realizzazione del packaging dovrebbero seguire le procedure dettate dall’economia circolare, e facilitare uno scostamento dall’approccio “make, use and dispose” in favore di un modello “reuse, recycle or biodegrade”.
Nel caso specifico del packaging cosmetico, tuttavia, il concetto del riuso è applicato raramente, ed il riciclo meccanico presenta delle problematiche nell’essere portato a termine non solo per difficoltà iniziali nella raccolta, ma anche perché si trova ed essere spesso contaminato da residui di prodotto di natura grassa od oleosa che sono difficili da rimuovere con un semplice lavaggio. Ed è per questo che l’uso di packaging compostabile, non necessariamente bio, sarebbe di grandissima utilità per ridurre l’impatto ambientale[9].
La percentuale di contaminanti nel packaging cosmetico, che consiste in residui liquidi o pastosi, influisce in misura considerevole sul recupero del singolo materiale, per cui questa frazione, allo stato attuale, viene generalmente destinata all’incenerimento. Inoltre, i residui di detergenti e conservanti possono essere dannosi per l’attività dei microrganismi funzionali al compostaggio, per cui le nuove formulazioni cosmetiche dovranno essere necessariamente anch’esse biodegradabili.[10]
I cosmetici sono prodotti ad alto valore aggiunto ma deperibili, ed anche in questo caso il packaging deve essere pensato, oltre che in funzione delle esigenze di comunicazione verso il consumatore, soprattutto per assicurare conservazione, trasporto, magazzinaggio e distribuzione corretta del prodotto. Concetti come barriera all’ossigeno ed all’umidità, resistenza agli UV, migrazione di sostanze dalla confezione al prodotto cosmetico e viceversa, diventano quindi parametri di estrema importanza. Additivi che migliorino la protezione agli UV devono essere giocoforza aggiunti in caso di packaging trasparente, per evitare alterazioni del prodotto dovute a processi di fotoattivazione dei componenti del prodotto. Tutti questi elementi dovrebbero venire presi in esame, in fase di progettazione del packaging cosmetico, anche alla luce di quanto possano incidere sulla sua facilità di riciclo e biodegradabilità.
Allo scopo di promuovere attivamente l’uso di materie prime prodotte in maniera sostenibile in ambito cosmetico, tanto nella composizione del prodotto che del packaging, sono stati creati eventi annuali come i “Sustainable Cosmetic Summit”,[11] ed il marketing di settore parrebbe accompagnare positivamente una tale iniziativa.
Le multinazionali cosmetiche hanno intuito perfettamente con ciò la grande opportunità che viene loro offerta dall’utilizzo del packaging green come strumento di marketing, per mettere in risalto sia una loro maggiore attenzione verso il consumatore, sia come indicatore del loro livello etico che il pubblico dovrebbe percepire. In questo senso, la tentazione di associare un concetto molto generico, se non espressamente ambiguo, di bioplastica a quello di packaging green è forte, ma priva di reale costrutto. Nei fatti avviene che, per quanto questi fabbricanti si sforzino di lanciare messaggi conditi da evidenti concetti “sostenibilità” e “packaging responsabile”, bottiglie o confezioni di prodotti cosmetici che siano inequivocabilmente biodegradabili ancora non ce ne sono sul mercato.
Conclusioni
Una volta appurato che la raccolta ed il riciclo del packaging cosmetico sono faccende di difficile messa in pratica, l’utilizzo sostenibile di materie prime compostabili o biodegradabili in normali condizioni ambientali rappresenta una sfida di grande importanza ed il giusto cammino da seguire. Materiali innovativi a base bio ed allo stesso tempo compostabili sono già disponibili industrialmente, ma la loro rilevanza economica è ancora estremamente ridotta. La crescente consapevolezza tanto del produttore che del consumatore riguardo un approccio green potrà giocare un ruolo sempre crescente, ma ancora per molto le bioplastiche, per quanto possano trovare interessanti nicchie di applicazione, non rappresenteranno una vera alternativa nel packaging cosmetico. Saranno quindi i criteri di biodegradabilità tanto del packaging che del prodotto congiuntamente quelli da tenere in maggiore considerazione, che non la mera origine bio delle materie prime.
Bibliografia
[1] A Sustainable Bioeconomy for Europe: Strengthening the Connection between Economy, Society and the Environment (2018) https://ec.europa.eu/research/bioeconomy/pdf/ec_bioeconomy_strategy_2018.pdf.
[2] Fortune Business Inside (2019) Bioplastics Market Size, Share & Industry Analysis, By Type (Biodegradable and Non-biodegradable) https://www.fortunebusinessinsights.com/industry-reports/bioplastics-market-101940
[3] European Commission, Circular Economy: Implementation of the Circular Economy Action Plan (2020) https://ec.europa.eu/environment/circular-economy.
[4] La definizione di “economia circolare” che verrà presa in considerazione per la trattazione, è quella data dalla Ellen MacArthur Foundation, ovvero restorative and regenerative by design, which aims to keep products, components and materials at their highest utility and value at all times, distinguishing between technical and biological cycles.
[5] Lisa Zimmermann et al. (2020) Are bioplastics and plant-based materials safer than conventional plastics? In vitro toxicity and chemical composition: Goethe University Frankfurt am Main.
[6] Hansjürgen Saechling (2009) Manuale delle Materie Plastiche, pag. 470. Ed. Tecniche Nuove, Milano.
[7] Hahladakis, J.N., Velis, C.A., Weber, R., Iacovidou, E., Purnell, P. (2018) An overview of chemical additives present in plastics: migration, release, fate and environmental impact during their use, disposal and recycling. J. Hazard Mater. 344, 179–199. https://doi.org/10.1016/j.jhazmat.2017.10.014.
[8] Muncke, J. (2009) Exposure to endocrine disrupting compounds via the food chain: is packaging a relevant source? Sci. Total Environ. 407 (16), 4549–4559. https://doi.org/10.1016/j.scitotenv.2009.05.006.
[9] Cinelli P et al. (2019) Cosmetic Packaging to Save the Environment: Future Perspectives.
[10] Position of European Bioplastics concerning Bioplastics and the Circular Economy (2016) https://www.pac.gr/bcm/uploads/bioplastics-and-the-circular-economy.pdf.
[11] Sustainable Cosmetic Summit (2019) http://www.sustainablecosmeticssummit.com/aboutthesummit.htm.
a cura di Roberto Volpi
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