In tanti imballaggi moderni la plastica c’è ma non si vede. In nome di un ambientalismo più di moda che di sostanza.
La letteratura e l’arte si sono a lungo occupate del travestimento. Gli dèi greci, maestri della metamorfosi, nascondevano le loro vere sembianze per conoscere i veri sentimenti dei mortali, per favorirli o per ingannarli. Per secoli a teatro le parti femminili sono state recitate da uomini e i narratori di tutti i tempi hanno inventato personaggi capaci di assumere l’aspetto più diverso. Il travestimento accompagna l’umanità dai suoi albori.
L’era industriale moderna non poteva essere da meno. Oggi appare con sempre maggiore evidenza che importanti aziende alimentari vogliono condurre il packaging dei loro prodotti verso nuovi palcoscenici, quelli ambitissimi della sostenibilità e della circolarità. Usando proprio l’antico espediente del travestimento, dove, nel nostro caso, a cambiare aspetto è proprio il materiale di cui gli imballaggi sono fatti: la plastica.
Essa infatti non può essere mostrata per quello che è, e cioè un materiale leggero, pratico ed economico, efficace nella conservazione degli alimenti, ma deve travestirsi da qualcos’altro. In pratica, non è che la plastica non c’è, ma sembra un’altra cosa. Carta, per lo più.
Gli esempi non mancano. Dalle confezioni di quel pesce pescato in modo così sostenibile da non sopportare l’idea di essere imballato nella plastica, a quella bevanda la cui bottiglietta indossa con disinvoltura un capo all’ultima moda, di carta naturalmente. La plastica c’è, ma è meglio non nominarla, anzi, meglio negarla. Un po’ come quei monaci del medioevo a cui bastava pronunciare “ego te baptizo piscem” per autorizzarsi a mangiare una bistecca di venerdì.
Lasciamo stare per il momento i problemi tecnici che simili soluzioni, fatte da “ibridi” multimateriale, possono portare in fase di riciclo, visto che lo scarto plastico dovrà comunque essere trattato: consideriamo invece il nuovo obbligo per l’industria, che deve tener dietro al mainstream contemporaneo che vuole che tutto sia “verde” e, se non lo è, gli si dà una bella verniciata di color dell’erba.
La protezione dell’ambiente, a cui anche l’industria delle plastiche crede con convinzione, e la lotta allo spreco alimentare sono obiettivi troppo importanti per essere lasciati all’ipocrisia e al nascondimento. È proprio così difficile dire la verità ai consumatori? Oppure, restando in tema di travestimento, arriveremo mai all’agnizione?
a cura di Paolo Spinelli
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