Gradi medicali in poliuretano termoplastico, acrilici ed elastomeri lavorati secondo una struttura che ricorda perfettamente quella delle scaglie cutanee dello squalo. Ecco come imitando la natura si può prevenire la diffusione di infezioni negli ambienti ad alta frequentazione come uffici, scuole, ospedali.
Apparentemente può sembrare difficile credere che due settori tanto diversi tra loro come i trasporti marittimi e la salute possano avere qualcosa in comune e beneficiare delle stesse innovazioni tecnologiche. Eppure c’è qualcosa che accomuna le incrostazioni che ricoprono le carene delle imbarcazioni con ambienti quali gli ospedali e le loro attrezzature e addirittura con alcuni dispositivi medici che vengono utilizzati come soluzioni a varie problematiche di salute.
Dal mondo della ricerca la risposta che viene data è che entrambi questi settori soffrono di un fenomeno che è chiamato in inglese fouling o per essere più precisi biofouling. Si tratta della formazione di pellicole di batteri che, almeno inizialmente, non sono visibili a occhio nudo e non sono percepibili al tatto. La formazione di questo biofilm, quando si tratta del marine biofouling, è solo la prima fase di un processo che porta fino all’insediamento di organismi come mitili, alghe, spugne, anemoni – organismi che si nutrono dei batteri stessi. Basta pensare alle incrostazioni che si vedono sulle carene in metallo di vecchie imbarcazioni. Naturalmente nel settore della salute questi stadi non ci sono, per la tipologia di ambiente differente e perché la pulizia degli ambienti e delle attrezzature blocca la crescita del biofilm di batteri.
Solitamente si combatte la formazione di questo biofilm, nel caso del settore marittimo, con l’impiego di componenti chimici tossici per questi organismi. Tuttavia questi componenti risultano in genere tossici per l’intero ambiente. Inoltre tale pratica necessita di interventi specifici e impone di sostenere notevoli costi. Certamente parlando di ambienti pubblici e sanitari questi biofilm sono invece rimossi dalle pratiche di pulizia più adeguate.
Ancora nel 2002, la marina americana chiese a un professore dell’Università della Florida di trovare una soluzione alternativa ambientalmente compatibile e che non richiedesse frequenti interventi.
Nei trasporti marittimi le comuni incrostazioni che si osservano su alcune carene possono infatti ridurre dal 16% al 86% la potenza delle imbarcazioni, aumentando i consumi di combustibile ed energia e riducendo la velocità di crociera. Nel settore della salute, invece, si è visto che la formazione del biofilm porta a numerosi casi di infezione. Negli Stati Uniti, ad esempio, in un anno più di 1 milione e 700 mila dei ricoverati negli ospedali contraggono delle infezioni a causa di queste pellicole di batteri che si formano su diverse superfici di contatto frequente come comodini, sponde dei letti, dispositivi medici, maniglie e così via. Alcune di queste infezioni sono letali. Le pratiche di pulizia corretta non sono sufficienti, se si considera che per molti batteri il tempo di replicazione è di circa soli 20 minuti. Questo significa che in una sola giornata un singolo batterio può moltiplicarsi in più di 16 milioni di individui.
Il professore Anthony Brennan utilizzò nello studio per la marina americana un approccio totalmente nuovo nella lotta contro questo biofilm. Anziché intervenire con vernici atossiche e altri prodotti atossici o con prodotti che avrebbero dovuto essere usati per la rimozione, il professore decise di trovare il modo di evitare che questi organismi potessero attecchire una volta per tutte.
Imitare la natura
Quale modo migliore di trovare la soluzione altro se non osservando quanto la natura stessa fa. Brennan osservò gli animali che hanno lo stesso tipo di problema delle imbarcazioni e dei sottomarini con la formazione del biofilm batterico e delle successive incrostazioni, ovvero gli animali marini a lento movimento. Tra tutti questi l’animale che risulta non avere alcun tipo di problema con il fouling è lo squalo. L’osservazione di un campione di pelle di questo animale con un microscopio elettronico a scansione è stato il primo passo verso una semplice rivoluzionaria soluzione.
Le scaglie cutanee degli squali hanno una struttura differente da quella delle squame della maggioranza dei pesci. Sono infatti ricoperte da uno smalto simile a quello dei denti umani. Proprio per questa loro struttura sono chiamate anche dentelli cutanei. Sono in grado di respingere più del 85% delle alghe con cui entrano in contatto e hanno una particolare “topografia”. Sono composte da dei rilievi microscopici sistemati tra loro a formare la geometria di un diamante. Questa tipologia di struttura manca in altri grossi animali marini come le balene. Dopo alcuni anni di studi e di prove Brennan è riuscito a riprodurre in laboratorio una struttura artificiale simile a questi dentelli cutanei.
Lo squalo ci può salvare
Questa struttura artificiale è nota da alcuni anni con il nome commerciale Sharklet, soluzione proposta dalla società Sharklet Technologies, fondata nel 2007 dallo stesso Brennan assieme all’amico e uomo d’affari Greg Garvis e al collega Joe Bagan.
Nei test effettuati su questa tipologia di struttura artificiale si è visto che l’energia necessaria ai batteri per colonizzare una superficie di questo genere è notevole e per questo si riduce la loro possibilità di successo. Le cellule sono infatti costrette a rimanere sospese tra gli spazi presenti tra i rilievi della microstruttura o a piegarsi e seguirne tutti i contorni. In entrambi i casi per le membrane cellulari si tratta di sottoporsi a notevoli tensioni e sforzi, con comunque una riduzione dell’area di contatto.
Per riuscire ad aderire e rimanere attaccati a questa tipologia di superficie, i batteri sono costretti a consumare più energia, andando quindi a morire. Sono quindi costretti a cercare un’altra tipologia di superficie se non vogliono sopperire. Le percentuali di successo nella deterrenza ai batteri dipende dalla specie di batterio. Tuttavia in generale la struttura Sharklet riesce a bloccare più del 90% dei casi di attecchimento da parte dei batteri ed è risultata particolarmente efficace contro i ceppi batterici gram positivo e gram negativo patogeni per gli esseri umani, come l’Escherichia coli, lo Staphylococcus aureus e lo Pseudomonas aeruginosa.
La tecnologia
L’azienda nel corso degli anni ha testato diverse configurazioni sulla base del modello a diamante, fino a mettere a punto le soluzioni che rigettavano il più alto numero di specie di batteri e che quindi evitavano maggiormente la formazione della pellicola.
Ma la fase più complessa è stata in realtà quella del processo di lavorazione di questa struttura e l’accessibilità alla tecnologia per produzioni su scala maggiore. I rilievi della configurazione finale sono lunghi e alti 3 µm e larghi 2 µm e sono poche le aziende che sono in grado di produrre materiali con questa tipologia di struttura.
Gli obiettivi di Sharklet Technologies erano due. Accordi di licenza con varie aziende per l’utilizzo della superficie Sharklet e la creazione di una linea di propri prodotti medicali.
Nel 2008 la società è stata contattata da FlexCon, un’azienda del Massachusetts specializzata in laminazione e rivestimenti adesivi. FlexCon è riuscita a sviluppare la tecnologia per produrre materiali con struttura Sharklet in fogli industriali. A questo punto Sharklet Technologies ha siglato anche un accordo con un’altra azienda, la 10x MicroStructures di Chicago, per la produzione degli stampi per lo stampaggio di componenti composti dalla struttura Sharklet prodotta da FlexCon.
Gli stampi sono prodotti in wafers di silicone, simili ai wafers utilizzati per la produzione di componenti elettronici, e sono lavorati secondo la struttura Sharklet utilizzando la litografia laser. Uno stampo di questo tipo misura solitamente 10,16 cm x 10,16 cm (4″x4″), ma può anche misurare 22,86 cm x 22,86 cm (9″x9″). Di base sono disponibili due tipi di struttura Sharklet: la versione standard e il modello inverso. Il modello standard con i rilievi sporgenti all’esterno è il migliore per limitare la migrazione di batteri e viene quindi usato soprattutto per i dispositivi medici e per impianti come i tubi dei cateteri. Il modello Sharklet inverso, in cui i rilievi sono rientranti, è più efficace per superfici che sono soggette ad alto numero di contatti. In questo caso è infatti importante che le protuberanze siano protette dall’usura, così che la superficie mantenga comunque la sua efficacia per un periodo di tempo lungo.
Il modello madre viene utilizzato da 10x MicroStructures per produrre gli stampi così strutturati con il processo di elettroformatura in nickel. L’elettroformatura permette un’alta replicabilità del pezzo con la massima fedeltà all’originale, perché la topografia superficiale viene replicata a livello atomico. Lo stampo così prodotto può essere poi usato nel processo di stampaggio a iniezione tradizionale, in cui la plastica scaldata viene forzata nella cavità dello stampo e solidifica secondo la struttura Sharklet. 10x MicroStructures è in grado di fornire campioni su differenti materiali e in scala micro o nanometrica. Tra i tipi proposti da questa azienda ve ne sono sei dedicati al settore sanitario, stampati quindi tutti in grado poliuretanico termoplastico medicale.
La struttura madre Sharklet viene utilizzata anche da FlexCon per la produzione di fogli adesivi da applicare a superfici e attrezzature preesistenti. La serie FlexMark include una tipologia di laminato trasparente da applicare superiormente su cui non è possibile stampare, una tipologia su cui invece è possibile stampare con i sistemi convenzionali e una gamma di film adesivi adatti per stampa su retro.
Le applicazioni possibili per Sharklet sono innumerevoli, poiché questa struttura è adatta a essere utilizzata anche sugli arredi in tutti gli ambienti in cui vi è frequentazione da parte di più persone. Questo significa praticamente quasi tutti gli ambienti che possiamo immaginare al di fuori delle mura delle nostre case, tra cui aeroporti, uffici, scuole. Aziende come la Steelcase hanno già realizzato fin dal 2014 arredi con struttura Sharklet destinati proprio a uffici e scuole.
a cura di Valeria Mazzucato
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