Il Plastic Free non è una moda passeggera ma una tendenza di lungo periodo. Importati aziende del settore alimentare hanno in programma cambiamenti significativi del packaging dei loro prodotti che coinvolgono le materie plastiche, con l’utilizzo di tipologie alternative di materiali, di riciclati e di biopolimeri.
La minaccia ambientale causata dai rifiuti in plastica ha spinto l’industria ad ingenti investimenti in imballaggi plastic free, che rientrano nel più ampio concetto di “imballaggi ecosostenibili”.
Per imballaggio plastic free (o ecosostenibile, o sustainable packaging) non si intendono in senso stretto soltanto confezioni senza plastica, ma anche confezioni che utilizzano ancora la plastica, ma in maniera più razionale, usando magari tipologie alternative di plastica, quali i biopolimeri, prodotti di origine naturale (per esempio cellulosa), plastica di riciclo, nuove tipologie di confezioni quali i refill pack invece dei tradizionali bidoncini con un risparmio di circa l’8% di plastica, o ancora plastica di tipo tradizionale insieme ad altri materiali (riciclabili, riutilizzabili, biodegradabili eccetera).
Gli investimenti in soluzioni di imballaggio plastic free hanno raggiunto nel 2020 il valore di 20,2 miliardi di dollari a livello mondiale, in leggero calo rispetto all’anno precedente per l’impatto negativo del Covid-19 sull’intera economia mondiale, ma in crescita ad un tasso del 5,7% medio annuo nell’arco dell’ultimo decennio (vedi figura 1), tasso di crescita superiore, nello stesso arco di tempo, al tasso di crescita dell’imballaggio globalmente considerato (+4%).
Va inoltre considerato che l’impatto Covid-19 si è fatto sentire sì anche sull’industria dell’imballaggio ecosostenibile, ma in misura meno pesante che in altri settori industriali; ciò in quanto i settori di utilizzo dell’imballaggio ecosostenibile sono per la prevalenza anticiclici: l’industria alimentare è di gran lunga il maggior settore utilizzatore di imballaggi ecosostenibili, seguita dall’industria cosmetica e farmaceutica (vedi tabella 1).
Gli investimenti in soluzioni di imballaggio plastic free comprendono una serie di voci fondamentali:
- Ricerca & Sviluppo di tali soluzioni,
- progettazione dell’imballaggio,
- impiantistica che rappresenta la voce più consistente,
- spese per il lancio del prodotto.
Le iniziative delle aziende
Per meglio rendere l’idea di quanto diversificato sia il concetto di packaging plastic free (sustainable packaging) si riportano alcuni esempi di investimenti nel settore di recente realizzati, o in fase di realizzazione:
- Nestlé investirà fino a 1,9 miliardi di franchi svizzeri (circa 2 miliardi di dollari) da qui al 2025 per attuare il passaggio dalla plastica vergine a quella riciclata negli imballaggi alimentari, con l’obiettivo di ridurre di almeno un terzo l’utilizzo di plastica vergine, e per accelerare lo sviluppo di soluzioni innovative per imballaggi sostenibili. Già nel 2018 la società si era impegnata a rendere riutilizzabili tutti i suoi imballaggi entro il 2025. La maggior parte della plastica è difficilmente riciclabile per imballaggi alimentari e ciò comporta dunque una fornitura limitata di plastica riciclata per alimenti. Pertanto, Nestlé si impegna ad acquistare fino a 2 milioni di tonnellate di plastica riciclata da utilizzare nei suoi imballaggi alimentari, oltre ad investire più di 1,5 miliardi di dollari per l’utilizzo di nuovi materiali di qui al 2025 nei suoi oltre 400 stabilimenti sparsi nel mondo. Inoltre, i Dipartimenti di Ricerca e Sviluppo della società, come ad esempio il Nestlé Institute of Packaging Sciences, stanno lanciando un fondo di circa 250 milioni di dollari come Venture Capital per supportare le start up attive nella ricerca di soluzioni di packaging ecosostenibili. Nel 2019 Nestlé aveva aperto in Svizzera un Centro Ricerca per packaging in carta riciclabile e contenitori riciclabili per liquidi;
- Tetra Pak sta investendo nello sviluppo di cannucce di carta in sostituzione di quelle in plastica e nella produzione di polimeri a base vegetale ottenuti da canna da zucchero;
- Ferrero ha di recente firmato il “New Plastics Economy Global Commitment” promosso dalla Ellen MacArthur Foundation, con cui si impegna ad eliminare gli imballaggi in plastica superflui tramite un’azione di riprogettazione e innovazione anche nei modelli di delivery, in un’ottica in cui questo materiale non diventa mai un rifiuto. Entro il 2025 tutti gli imballaggi Ferrero saranno 100% riutilizzabili, riciclabili e compostabili. Oltre a massimizzare l’uso di materiali riciclabili sicuri per il consumatore e ad eliminare gli imballaggi in plastica superflui, Ferrero intende avviare progetti di sviluppo di nuovi materiali di imballaggio compostabili per applicazioni mirate, con un focus particolare su soluzioni compostabili in ambiente marino;
- il marchio Yomo della Granarolo ha lanciato la linea Yomo Natura in carta, ma non si tratta di carta qualsiasi: infatti sia il vasetto che il packaging esterno sono in carta certificata PEFC, ossia carta ottenuta con materia prima proveniente da foreste gestite in modalità ecosostenibile e da fonti rigidamente controllate;
- Conserve Italia, per i suoi succhi con marchio Valfrutta, Yoga, Jolly Colombani, utilizza due diverse modalità di imballaggio: o utilizza bottiglie tradizionali realizzate in modo tale che la percentuale di plastica riciclata arrivi al 50%, il massimo consentito dalla Legge Italiana, oppure utilizza i brik monodose con brevetto Tetra Crystal con più carta e meno plastica e alluminio, e realizzato con l’86% di materiali di origine vegetale;
- Müller ha di recente immesso sul mercato un vasetto di yogurt da 500 grammi in Destopot, un materiale costituito da un sottile involucro interno di plastica, rivestito all’esterno da un cartoncino: in tal modo il contenuto in plastica rispetto ai vasetti tradizionali viene ridotto di circa il 60%;
- la società neozelandese Ethique, che produce cosmetici per la cura della pelle, ha di recente adottato confezioni plastic free, usando materiali tipo carta e cartone;
- ricercatori USA hanno sviluppato un film edibile ottenuto da proteine del latte, dalla configurazione simile ad un avvolgimento in plastica, che aiuta a prevenire il deterioramento del cibo, oltre a ridurre gli scarti da imballaggio;
- la società inglese Shredhouse, specializzata in soluzioni per imballaggio in materiali riutilizzabili, riciclabili e biodegradabili in una varietà di materiali e colori, produce fra l’altro carta kraft tagliuzzata, carta tissue e cellophane per il mercato dell’imballaggio di regali;
- la multinazionale McDonald’s ha pubblicamente annunciato che entro il 2025 tutti i suoi imballi saranno “ecosostenibili” e proverranno da fonti rinnovabili, riciclate e certificate;
- nel settore beverage, le bottiglie e i tappi in plastica già da tempo tendono ad essere realizzati con spessori sempre più ridotti. Inoltre, The Coca-Cola Company si è impegnata a produrre entro il 2030 bottiglie costituite per il 50% da PET riciclato (rPet). In Italia, Coca-Cola ha iniziato a introdurre nel mercato bottiglie che utilizzano una parte di PET riciclato nel 2018, con l’obiettivo di sostituire entro il 2025 il 35% della quantità totale di PET immessa nel mercato, fino ad arrivare a sostituirne almeno il 50% entro il 2030.
Le economie avanzate trainano il cambiamento
Le aree geografiche ad economia avanzata (USA, Canada, Europa Occidentale, Giappone, Australia – Nuova Zelanda) incidono per oltre il 90% sugli investimenti globali in imballaggi plastic free: il dato è sostanzialmente in linea con gli investimenti ecosostenibili effettuati negli ultimi anni a livello globale: circa 34 miliardi di dollari, di cui circa 30 miliardi realizzati appunto nelle aree geografiche industrializzate.
Attualmente è l’Europa Occidentale l’area geografica che maggiormente investe in soluzioni di imballaggio plastic free (vedi tabella 2), in considerazione del fatto che è questa regione quella più attenta alle problematiche ambientali. Infatti è in questa regione che negli ultimi anni si sono effettuati più investimenti ecosostenibili, tra i quali rientrano gli imballaggi ecosostenibili o plastic free.
Secondo la Direttiva Europea di recente approvata, per quanto riguarda le bottiglie di plastica, si dovrà riciclare almeno il 90% entro il 2029, con un target intermedio del 77% al 2025. Nel testo si introduce anche l’obbligo, a partire dal 2024, di avere il tappo attaccato alla bottiglia per evitare che questo si disperda con facilità. Viene introdotto, inoltre, un contenuto minimo di materiale riciclato, (almeno il 25% entro il 2025 ed il 30% al 2030) nella produzione di bottiglie di plastica per favorirne così la raccolta differenziata.
Anche gli USA, nonostante il tasso di riciclo dei rifiuti in plastica sia ben più basso che in Europa e Giappone, stanno comunque investendo in maniera consistente in soluzioni di imballaggio plastic free. Per esempio, ci sono diversi fondi che investono in packaging alimentare ecosostenibile; in particolare sulla costa occidentale si segnalano numerose start up impegnate in questo campo.
In Cina ancora pochi investimenti
Irrilevante ancora per il momento la quota asiatica e degli altri paesi “emergenti” sugli investimenti globali in soluzioni plastic free, anche se è in questi mercati che negli anni a venire è previsto il tasso di crescita più elevato.
Il motivo per cui gli imballaggi ecosostenibili in Asia, e in generale nelle aree geografiche “emergenti”, sono ancora poco sviluppati, va ricercato essenzialmente nel costo richiesto dagli investimenti per realizzarli. Prendendo in considerazione per esempio la Cina, maggior mercato asiatico e il maggiore nelle aree “emergenti”, nel 2015 il Governo cinese si è impegnato a ridurre entro il 2030 le emissioni di anidride carbonica del 65% rispetto ai livelli di 10 anni prima, aumentando al contempo di oltre il 20% la quota di energie pulite sulla produzione totale nazionale di energia.
Si consideri inoltre che la Cina produce ogni anno circa 62 milioni di tonnellate all’anno di rifiuti di plastica, primo paese inquinante al mondo; di questi solo un 25% per ammissione dello stesso Governo cinese vengono riciclate, contro un tasso del 42% medio della UE e un 48% del Giappone; i restanti tre quarti (circa 47 milioni di tonnellate) vengono scaricate all’aperto; di qui il passaggio al mare è molto rapido. Infatti, la Cina è leader nell’inquinamento marino da plastica.
Facendo un confronto col Giappone risulta che gli investimenti in Cina negli imballaggi plastic free sono solo di poco superiori a quelli giapponesi (vedi tabella 3); va però tenuto presente che il volume degli imballaggi in plastica in Cina supera di almeno dieci volte quello giapponese. Il Giappone fra l’altro è il paese che, tra le aree industrializzate, ha registrato negli ultimi tre anni il tasso di crescita più elevato degli investimenti in sostenibilità.
Gli investimenti ecosostenibili in Cina si impongono come una necessità in considerazione del fatto che la Cina è in assoluto il paese più inquinante al mondo, con quasi 10 miliardi di tonnellate di CO2 immesse nell’atmosfera; seguono gli USA, che però immettono circa la metà di quantitativi di CO2 nell’aria; in terza posizione l’India con 2,5 miliardi di tonnellate.
La Cina è il paese maggior consumatore di energia al mondo, ed è il maggior produttore al mondo di materie plastiche, con una quota di circa il 30 – 31% sulla produzione mondiale: l’Asia, globalmente considerata, supera di poco il 50%.
Ma la transazione all’economia green ha un costo molto elevato: il peso finanziario di tale transazione, intesa nella sua totalità, ha un costo, per il Governo cinese, di circa 3.700 miliardi di dollari, una cifra che la Finanza Pubblica ha difficoltà ad affrontare; allo stato attuale solo una quota inferiore al 20% di tale cifra può essere sostenuta dalla Finanze Pubbliche. È pertanto necessaria una massiccia partecipazione privata, ma a questo punto subentra un altro problema: infatti i danni derivanti dal non rispetto ambientale non hanno conseguenze, almeno per l’immediato, sugli utili delle aziende, ma generano perdite dovute agli ingenti investimenti da effettuare. Per tale motivo la tutela economica passa decisamente in secondo piano, ed è vista come un fattore di perdita per le aziende. In generale quindi i progetti green, compresi quelli relativi all’imballaggio ecosostenibile, stentano a trovare i finanziamenti necessari; le stesse banche sono restie a erogare crediti per questo tipo di investimenti.
Va peraltro rilevato che ultimamente le Autorità Cinesi impongono la chiusura di stabilimenti considerati eccessivamente inquinanti. Si dovrà pertanto arrivare gradualmente ad un riequilibrio fra due opposte tendenze.
Un’altra area geografica dove gli imballaggi plastic free stentano a decollare è il Medio Oriente, in particolare i paesi del Golfo, dove il petrolio, materia di partenza delle plastiche, rappresenta ancora la principale entrata economica. Ed è proprio in questi paesi che si registrano i più alti tassi di emissioni di CO2: in particolare Qatar, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Brunei, Bahrain.
Da “moda” a tendenza del mercato
Come già negli anni più recenti, e, anzi, con ogni probabilità anche in misura più sostenuta nei prossimi anni, l’industria del packaging ecosostenibile sarà trainata da due fattori fondamentali:
- da un lato la Normativa sempre più stringente emanata dai Governi e dagli Enti Internazionali, oltre che dalle singole aziende;
- dall’altro le stesse esigenze dei consumatori che si vanno sempre più orientando verso scelte di tipo ecosostenibile.
Quello che fino a qualche anno fa era considerata una pura “moda” è divenuta in realtà una tendenza dettata dalle necessità del mercato: chi vuole sopravvivere e competere nell’industria del packaging deve necessariamente allinearsi a questa tendenza irreversibile.
A livello globale gli investimenti in soluzioni di packaging plastic free sono previsti crescere nei prossimi anni ad un tasso medio annuo del 5,9%, leggermente superiore a quello registrato nell’ultimo decennio, per arrivare ad attestarsi a 25,4 miliardi di dollari nel 2024.
Gli spazi di crescita degli investimenti in soluzioni di packaging plastic free sono d’altronde evidenti se si considera che attualmente il business mondiale dell’imballaggio ecosostenibile rappresenta solo circa il 56% del business totale dell’imballaggio in plastica.
Un altro dato significativo è il seguente: a livello mondiale solo circa il 15% dei rifiuti in plastica vengono riciclati.
Se l’Europa continuerà per un po’ di anni ad essere l’area geografica che maggiormente investe in soluzioni plastic free, gli spazi di crescita più elevati sono nelle aree geografiche “emergenti”: questo è chiaramente evidente se si confrontano le quote percentuali sugli investimenti globali in soluzioni plastic free nelle aree geografiche ad economia avanzata (Nord America, Europa Occidentale, Giappone, Australia – Nuova Zelanda) e in quelle “emergenti” con le quote percentuali sui consumi totali mondiali di plastica per imballaggio nelle suddette aree (vedi tabella 4).
L’area geografica a maggior tasso di sviluppo sarà ancora probabilmente quella asiatica, in primis Cina, seguita da Indonesia, Thailandia e India (vedi tabella 5), anche se quest’ultima in maniera più lenta rispetto a quanto ipotizzabile fino a pochi anni fa, in relazione alla pesante crisi creditizia in atto, che rappresenta un possibile e non trascurabile freno anche per gli investimenti ecosostenibile.
La crescita dei materiali biodegradabili
Tra i vari materiali utilizzati in soluzioni di imballaggio plastic free emergeranno i materiali biodegradabili: per biodegradazione si intende il processo degradazione di un materiale (a prescindere dal fatto che sia di origine naturale o sintetica) attraverso processi enzimatici (batteri, funghi o altri microorganismi). La biodegradabilità viene testata con la prova standard EN 14046, anche conosciuta come ISO 14855.
Anche la plastica può essere biodegradabile: è una plastica che si decompone completamente ad anidride carbonica, metano, acqua, biomassa e composti inorganici, sotto l’azione di organismi viventi in condizioni aerobiche o anaerobiche.
Le plastiche biodegradabili commercializzate sono prodotte su scala crescente da un sempre maggior numero di produttori. Alcune tipologie di plastiche biodegradabili più comuni sono:
- plastiche dell’acido polilattico (PLA);
- plastiche derivate da amido;
- plastiche dei poliidrossi alcanoati (PHB, PHVB, ecc);
- cellophane (plastica della cellulosa);
- plastiche basate su poliesteri aromatici alifatici;
- plastiche ottenute dalla lignina.
a cura di Giuseppe Tamburini
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