Primi dettagli sulla Plastic Tax UE da 800 euro la tonnellata sulla plastica: si tratta di contributi nazionali che i singoli stati recupereranno poi con imposte a livello locale. Le reazioni del mercato tra carenze infrastrutturali e poche certezze sulle normative. Una spinta in avanti per il riciclo?
La Plastic Tax, la tassa UE di 800 euro a tonnellata sui rifiuti plastici da imballaggio, approvata dal Consiglio europeo lo scorso 21 luglio e in vigore a partire dal prossimo gennaio, ha provocato un vero e proprio terremoto nel mercato, non solo per la sua portata, ma anche per i tempi ristretti di implementazione.
Finora, le reazioni sono state di vario segno, con domande immediate sulle modalità di calcolo, sulla sua applicazione nella filiera, e sulla possibilità che questo provvedimento susciti discrepanze normative ancora maggiori riguardo alle materie plastiche.
La nuova Plastic Tax da 800 euro la tonnellata, che verrà applicata a tutti i rifiuti plastici da imballaggi non riciclati, dovrà essere versata dagli stati membri dell’Unione Europea a partire dal 1° gennaio 2021. I contributi nazionali verranno calcolati dalla Commissione Europea in base agli obblighi di comunicazione già imposti dalla Direttiva sui Rifiuti da imballaggio (Direttiva 94/627CE) e dalla relativa Decisione di Esecuzione (Decisione UE 2019/665).
Nel rispetto della direttiva, gli stati membri si impegnano a fornire i dati relativi agli imballaggi plastici e al loro riciclo, che vengono pubblicati sul sito internet di Eurostat.
Metodi di esazione della Plastic Tax a discrezione degli Stati
La Plastic Tax verrà utilizzata per finanziare il piano di ripresa economica in seguito alla pandemia da coronavirus, e verrà applicata a livello di stato-nazione.
In realtà, non si tratta di una vera e propria imposta, sebbene venga comunemente definita tale, in quanto essa può essere pagata dallo stato-nazione, invece che dai singoli individui o società. I singoli stati-nazione, tuttavia, possono cercare di reintegrare la quota versata mediante l’imposizione di tasse.
I metodi adottati per far fronte a questa imposta sono a discrezione dei singoli stati: il Consiglio europeo non ha proposto alcuna regolamentazione in proposito. I singoli paesi sono liberi di adottare approcci diversi e possono cercare di recuperare la quota versata per la tassa da varie parti della filiera, cosa che potrebbe portare a differenze normative.
Il modo in cui gli stati-nazione recepiranno questo provvedimento nelle legislazioni nazionali rimane la principale incertezza dal punto di vista dei mercati della plastica e del riciclo.
Opportunità e preoccupazioni
Alcuni operatori hanno accolto con favore la manovra, poiché essa promuoverà, in futuro, un incremento delle quote di riciclo, oltre che per il fatto che la scelta delle modalità di implementazione lungo la filiera viene lasciata ai singoli governi nazionali.
“Sarà un bene, per il settore. Credo che si tratti di un obiettivo realistico, poiché molti paesi e persone hanno ormai avuto tutto il tempo per riflettere sul tema degli imballaggi”, ha dichiarato un produttore di polimeri da riciclo.
Altri operatori, tuttavia, hanno espresso preoccupazione per le possibili divergenze normative e le conseguenti potenziali difficoltà a livello di scambi commerciali transfrontalieri.
“Cosa succede se spedisco qualcosa nel Regno Unito? E in Germania? A chi spetta pagare la Plastic Tax? Non voglio essere frainteso, non sono contrario, è solo che non è chiaro in che modo questo provvedimento verrà implementato”, commenta un riciclatore.
Un’ulteriore obiezione riguarda il fatto che la Plastic Tax fa ben poco per alleviare le carenze infrastrutturali e le barriere legislative che limitano la capacità del mercato di incrementare la quantità di materiale di riciclo idoneo alla produzione di imballaggi per alimenti e per materiali pericolosi, e che essa potrebbe incoraggiare un passaggio a imballaggi diversi da quelli plastici, ad esempio vetro, carta e cartone.
“Trasformare un oggetto di plastica in una bottiglia di vetro non risolve il problema. Credo si tratti di uno strumento creato dai politici per raggiungere i loro obiettivi, ma sarà questo l’approccio corretto? Stiamo a vedere che cosa faranno i vari stati. Di certo, un’imposta potrebbe incrementare l’utilizzo della plastica, ma applicare un’ulteriore tassa sulla plastica e incentivare il passaggio ad altri tipi di imballaggi non rappresenta l’approccio corretto”, ha puntualizzato un importante produttore di imballaggi.
Le carenze delle infrastrutture di riciclo
Inoltre, preoccupa il fatto che la Plastic Tax non farebbe nulla per risolvere le carenze infrastrutturali esistenti nel ciclo della raccolta dei rifiuti, e che i tempi di implementazione ristretti non lascerebbero agli stati-nazione un tempo sufficiente per varare le necessarie leggi in modo ponderato.
“Durante i primi anni, non si potrà dire che la tassa venga evasa; semplicemente, le filiere non saranno pronte”, ha sottolineato un trasformatore di imballaggi.
Secondo diverse fonti, la mancanza di un’infrastruttura adeguata alla raccolta dei rifiuti implica che il costo di ogni possibile tassa sulla plastica proposta o introdotta nella legislazione attuale verrebbe semplicemente accollato al consumatore, fino a quando la tecnologia di riciclo chimico non sarà matura e in grado di fornire un volume di materiale sufficiente a gestire i problemi di approvvigionamento.
“In tutta onestà, non vedo alcuna relazione tra l’impiego di materiale di riciclo e questa nuova imposta. I governi nazionali non avranno tempo per introdurlo entro gennaio, né per definirne l’applicazione lungo la filiera. Mi piacerebbe dire che assisteremo a una reazione, ma l’unico progetto che questa tassa potrà promuovere sarà la sostituzione della plastica con altri materiali. È un peccato. Pensavo che le aziende puntassero sul “greenwashing”, ma a quanto pare la UE lo sta sfruttando soltanto per fare soldi.
“Dipenderà molto dalle misure che verranno adottate dai vari paesi; se la Plastic Tax viene introdotta, alla fine sarà il consumatore a pagare, e non vi sarà alcun incentivo al potenziamento della raccolta, al miglioramento della selezione, o a un maggiore utilizzo di materiali riciclati nei prodotti: se si limitano a caricare tutto sulle spalle del consumatore, le cose non cambieranno di molto. Questa sembra una tassa creata in fretta e furia, volta soltanto a colmare le lacune di bilancio, il che è veramente deludente”, ha dichiarato un’importante ditta attiva nella gestione integrata dei rifiuti.
L’impatto della Plastic Tax sui costi
Alcuni operatori obiettano al riguardo che qualora il costo della Plastic Tax venisse distribuito sull’intera filiera, in numerose applicazioni di packaging il limitato volume di materiale impiegato per ciascun articolo implicherebbe un incremento del costo unitario di appena 1-2 centesimi, a cui i consumatori potrebbero facilmente far fronte.
“Sembrano molti soldi, ma 800 euro a tonnellata, per un imballaggio di 20 g, non è poi una cifra tanto elevata”, ha commentato un produttore di polimeri da riciclo.
Per ottenere l’approvazione dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), il 95% del materiale di riciclo utilizzato deve derivare da applicazioni idonee al contatto con gli alimenti, e deve essere garantita la tracciabilità completa e dimostrabile lungo l’intera filiera.
Nel caso di materiali come lo r-PP, in cui la materia prima è ricavata da varie tipologie di rifiuti raccolti porta a porta, dimostrare la provenienza dei rifiuti all’origine del 95% del materiale utilizzato risulterebbe proibitivo.
L’unica nazione in grado di fornire granuli di r-HDPE per applicazioni alimentari derivati da rifiuti post-consumo è il Regno Unito, in cui le bottiglie del latte generano un flusso di rifiuti facilmente separabile.
La scarsità strutturale di materiale, unita a limitazioni tecniche quali opacità e perdita di resistenza a trazione, spingono gli operatori a esplorare strade alternative quali il riciclo chimico o l’impiego di biomateriali per assolvere agli impegni di sostenibilità.
a cura di Mark Victory
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