Il rinvio, l’ennesimo, della Plastic Tax al 1° gennaio 2022 rivela ancora una volta l’inutilità di tale imposta. Se il suo contributo all’erario fosse determinante non sarebbe mai stata oggetto di continui spostamenti in avanti, di sei mesi in sei mesi, in attesa della fine della pandemia, lasciando così un po’ di respiro alle aziende del settore. O forse è stato proprio il virus a mettere in una nuova luce il contributo indispensabile delle plastiche per la protezione, la conservazione e il trasporto in totale sicurezza dei prodotti alimentari e non.
Da più parti, l’industria delle materie plastiche ha chiesto la cancellazione della Plastic Tax, evidenziando una serie di sensate ragioni: aggravio dei costi, aumento della burocrazia, compromissione della competitività delle aziende, incertezza sull’andamento dei prezzi delle materie prime.
A muoversi contro questa ipotesi sono i movimenti ambientalisti, più per ragioni di principio che per una reale efficacia dell’imposta sulla tutela della natura, tutta da dimostrare. Dall’altra parte al Governo, attento a non perdere consensi su quel versante politico, manca forse il coraggio di tirare una bella riga sul provvedimento. Il risultato è un balletto di continui rinvii che non aiuta le aziende e l’economia a guardare avanti e a progettare il futuro.
Anche senza l’auspicata cancellazione, resta il problema delle procedure per la riscossione: le aziende devono essere messe nelle condizioni di espletare gli adempimenti della Plastic Tax in modo certo, sicuro e veloce, senza nuovi intoppi burocratici che andrebbero a sommarsi a quelli che già ci sono.
Se esiste un momento in cui l’industria delle materie plastiche deve fare sentire la sua voce, esso è arrivato. Il tempo è poco e l’arrivo dei mesi estivi non aiuta, ma un’azione unitaria dei diversi segmenti che compongono l’industria delle materie plastiche potrebbe portare la Plastic Tax verso l’archiviazione definitiva.
a cura di Paolo Spinelli
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