Le modifiche alla direttiva europea sugli imballaggi in plastica possono provocare un calo significativo del tasso di riciclo che passerebbe dal 42 al 30%. Le restrizioni all’export dei rifiuti, in vigore dal 2021, impedirebbero agli Stati membri di utilizzare questo strumento per rispettare gli obiettivi.
Una relazione della Corte dei conti europea pubblicata in ottobre fa evidenzia un rischio significativo che l’UE non riesca a soddisfare gli obiettivi in materia di riciclo degli imballaggi in plastica programmati per il 2025 e per il 2030.
Secondo il rapporto, le modifiche alla direttiva europea sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (PPWD), aggiornata come conseguenza dell’adozione da parte della Commissione europea della propria strategia sulla plastica nel 2018, potrebbero infatti comportare un calo significativo del tasso di riciclo degli imballaggi in plastica negli Stati membri dell’UE, che passerebbe dall’attuale 42% al 30%.
Questo perché innanzitutto i tassi di riciclo comunicati sono “lungi dall’essere accurati o comparabili tra gli Stati membri”, sottolinea la relazione. Inoltre, le imminenti modifiche alla Convenzione di Basilea vedranno entrare in vigore severe restrizioni sull’esportazione di rifiuti di plastica a partire dal 2021, mentre attualmente gli Stati membri dipendono dalle esportazioni di rifiuti verso paesi terzi per rispettare i loro impegni in materia di riciclo dei rifiuti. La Corte stima che il tasso di riciclo degli imballaggi in plastica comunicati dai membri dell’UE è determinato per quasi un terzo dalle esportazioni verso paesi terzi.
Le conseguenze sulla Plastic Tax
Anche se nella relazione non viene esplicitato, tutto ciò comporterà conseguenze significative a livello del contributo sulla plastica a carico degli Stati membri (800 euro/tonnellata) che dovrebbe entrare in vigore in gennaio. Il calcolo del contributo si basa sulla direttiva PPWD e sui relativi strumenti attuativi per determinare l’importo che ciascun stato membro dovrà versare. Se i tassi di riciclo sono rivisti al ribasso a causa delle modifiche nei meccanismi di comunicazione, ciò comporterà un onere finanziario più pesante per ciascun stato membro.
Il contributo non è un’imposta, anche se comunemente indicato come tale, perché viene versata dagli stati piuttosto che da individui o società. Gli stati potrebbero, tuttavia, cercare di recuperare l’importo del contributo attraverso la tassazione.
I metodi utilizzati per far fronte al contributo saranno a carico dei singoli paesi e il Consiglio dell’UE non ha proposto alcuna regola in questo contesto.
I singoli paesi sono quindi liberi di adottare approcci diversi e potrebbero cercare di recuperare l’importo del contributo da segmenti diversi della catena degli approvvigionamenti, comportando potenziali divergenze a livello regolamentare.
Tempi lunghi per nuovi impianti di riciclo
A prescindere da questi aspetti, sono in media necessari 12-18 mesi per costruire un impianto di trattamento rifiuti finalizzato al riciclo mentre i tempi medi per i test presso le aziende di imballaggio sono di circa 18 mesi. Ciò significa che qualsiasi impianto di riciclo aggiuntivo richiesto come conseguenza delle nuove regole non potrà essere avviato prima dell’entrata in vigore del contributo. Ciò significa che qualsiasi costo relativo al contributo rischia di essere trasferito direttamente al consumatore, oppure che venga incentivato il passaggio ad altri materiali, indipendentemente dal fatto che il loro impatto ambientale sia maggiore o minore.
L’unico paese che finora ha comunicato il modo in cui intende trasferire il contributo sulla plastica dell’UE alla catena degli approvvigionamenti è l’Austria, che ha annunciato il varo di una tassa sulla produzione di imballaggi in plastica, le quote di materiale riutilizzabile e un sistema di restituzione dei depositi.
La pressione normativa e dei consumatori contro le plastiche monouso continua a intensificarsi. Di conseguenza, molti produttori di beni di largo consumo hanno annunciato ambiziosi obiettivi riguardo al contenuto di materiali riciclati nei loro imballaggi in plastica, obiettivi che in genere vanno ben oltre i requisiti normativi arrivando solitamente al 50%.
ICIS ha ripetutamente evidenziato l’attuale carenza di infrastrutture dedicate alla raccolta dei rifiuti e di impianti di riciclo necessari per raggiungere gli obiettivi previsti. Gli effetti della pandemia del Covid-19, con il conseguente rinvio negli investimenti e la limitata crescita del 2020, hanno reso gli obiettivi della direttiva ancora più difficili da raggiungere.
“Le conclusioni della Corte dei conti non sorprendono”, afferma Helen McGeough, analista senior per il riciclo della plastica di ICIS. “Dopo aver valutato il settore del riciclo, e in particolare il mercato più maturo, ovverosia il PET di riciclo (RPET), ICIS ha scoperto che gli obiettivi del 2025 sono messi in discussione dal rallentamento dei tassi di raccolta e dell’aumento dei livelli dei contaminanti presenti, oltre che dal perdurare del commercio dei rifiuti nonostante il cambio delle regole. La standardizzazione del calcolo dei tassi di riciclo mette chiaramente in luce alcuni punti critici nelle catene del riciclo”.
Le normative per l’utilizzo della plastica riciclata a contatto con alimenti
Il raggiungimento degli obiettivi nel campo degli imballaggi per alimenti pone un problema per la maggior parte dei polimeri a causa dell’assenza di grandi volumi di rifiuti idonei al riciclo. Ciò è dovuto alla presenza di materiali contaminanti, alla prevalenza delle catene di riciclo misto, alle economie di selezione e separazione e all’indebolimento di proprietà come la resistenza a trazione della plastica determinate dai processi di riciclo.
In Europa, questa sfida è resa ancora più difficile dai requisiti imposti dall’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA) secondo la quale il 95% del materiale di riciclo approvato per il contatto con gli alimenti deve essere a sua volta ricavato da materiali parimenti approvati per il contatto con alimenti. Per i riciclatori di polietilene tereftalato di riciclo (R-PET) osservare questa disposizione è relativamente facile da garantire poiché la maggior parte del materiale raccolto proviene da bottiglie di bevande post-consumo.
Per altri polimeri, invece, le cui le fonti sono varie e confluiscono tipicamente in un unico flusso di raccolta, si tratta di una sfida importante che pone una barriera alla crescita del mercato.
Anche tenendo conto del contributo del R-PET, attualmente vi è una disponibilità di sole circa 350.000 tonnellate/anno di granulato di qualità alimentare.
Negli ultimi anni le carenze strutturali in Europa hanno determinato un aumento dei prezzi dei gradi polietilene tereftalato, polietilene e polipropilene di riciclo (R-PET, R-PE e R-PP) destinati agli imballaggi alimentari tale de superare i prezzi delle resine vergini corrispondenti.
Riciclo chimico in ritardo
Molti operatori guardano al riciclo chimico come a una sorta di bacchetta magica. Tuttavia, si tratta di una tecnologia ancora agli esordi che presenta dei limiti rispetto al tradizionale riciclo meccanico in termini di contenuto di contaminanti e umidità per alcuni processi di depolimerizzazione, oltre ad avere costi elevati e rese ridotte. Inoltre, lo status giuridico del riciclo chimico rimane tuttora incerto.
In ogni caso, alcune fonti stimano che saranno necessari almeno 5-10 anni prima che il riciclo chimico possa raggiungere una scala industriale, e quindi potrebbe arrivare troppo tardi per aiutare a soddisfare gli obiettivi legislativi.
“Affidarsi al riciclo chimico per colmare il divario degli approvvigionamenti appare irrealistico, viste le tempistiche in gioco”, ha affermato McGeough. “È chiaro che le sfide a breve termine per l’industria degli imballaggi in plastica partono dalla lotta contro gli schemi radicati che continuano a ostacolare lo sviluppo a lungo termine dell’industria del riciclo. Gli investimenti nella parte iniziale della catena degli approvvigionamenti svolgono un ruolo fondamentale, ma sono anche i meno probabili in un momento in cui i governi si trovano ad affrontare le conseguenze finanziarie della pandemia e della crisi economica globale. Non dovrebbe sorprendere che l’industria degli imballaggi si trovi in prima linea a sostenere la maggior parte dei costi connessi al recupero e al riciclo. Tuttavia, vi è il rischio che prevalga la tentazione di passare a materiali potenzialmente più dannosi piuttosto che affrontare seriamente il problema degli imballaggi alla fine del ciclo di vita”.
a cura di Mark Victory, caporedattore ICIS, dipartimento riciclo
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