Sander Defruyt è il direttore delle Plastics Initiative della Ellen MacArthur Foundation. In questa intervista, espone le proposte dell’organizzazione in tema di economia circolare, scelte politiche e ruolo delle materie plastiche, parte del problema ma anche protagoniste delle soluzioni.
Quali sono i principi fondamentali e gli obiettivi della Ellen MacArthur Foundation?
La Ellen MacArthur Foundation è un ente di beneficenza lanciato nel 2010 con la missione di accelerare la transizione verso un’economia circolare, con particolare riguardo a settori come la moda, l’alimentare e la plastica.
La nostra attuale economia, lineare e dispendiosa, è ormai giunta al capolinea. In questo sistema, i materiali vengono estratti dal suolo, trasformati in prodotti o alimenti e spesso scartati dopo un breve utilizzo singolo. Questi materiali di scarto spesso finiscono nelle discariche, negli inceneritori o, ancora peggio, nell’ambiente.
L’economia circolare è un concetto secondo il quale la crescita può essere dissociata dal consumo delle risorse. La Fondazione ritiene che vi siano tre principi fondamentali attraverso i quali raggiungere questo obiettivo: l’eliminazione dei rifiuti e dell’inquinamento; il mantenimento dei prodotti e dei materiali all’interno del sistema e al di fuori dall’ambiente; la rigenerazione della natura. Ciascuno di questi principi dovrà essere implementato mediante scelte progettuali innovative.
Qual è la vostra visione dell’economia circolare delle materie plastiche?
Sostenere la transizione dall’odierna economia della plastica lineare e dispendiosa verso un’economia circolare è un obiettivo importante per la Fondazione, sul quale lavoriamo sin dal lancio della nostra Plastics Initiative nel 2016.
Attraverso il Global Commitment e la rete dei Plastics Pact in tutto il mondo, oltre un migliaio di organizzazioni si sono riunite intorno a una visione comune di un’economia circolare allo scopo di affrontare i rifiuti da imballaggi in plastica e l’inquinamento che ne deriva. La versione completa di questo progetto è consultabile sul nostro sito web, e può essere riassunta nel modo seguente: eliminare tutti gli articoli di plastica problematici e non necessari; innovare per garantire che la plastica di cui abbiamo bisogno sia riutilizzabile, riciclabile o compostabile; far circolare tutta la plastica che utilizziamo per mantenerla nel sistema e fuori dall’ambiente, dalle discariche e dagli inceneritori.
Tra queste organizzazioni vi sono aziende che rappresentano oltre il 20% della produzione globale di imballaggi in plastica, governi di cinque continenti, ONG, investitori, istituzioni accademiche e altri organismi importanti impegnati su questo tema, tra cui il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, il Consumer Goods Forum, il World Economic Forum, WRAP, WWF, National Geographic e altri ancora. Questo è importante perché nessun singolo individuo, organizzazione o nazione può farsi carico da solo dei necessari cambiamenti.
Qual è il ruolo del riciclo delle materie plastiche in questo contesto?
Il riciclo è parte della soluzione nella lotta contro l’inquinamento da plastica, ma non è la bacchetta magica che tutto può risolvere. Non possiamo trovare la nostra via d’uscita da questa crisi semplicemente con il riciclo.
La Fondazione esorta i governi e le imprese a pensare “a monte” e a misure che abbiano al centro i principi dell’economia circolare. Ciò richiede un cambio di mentalità, di andare oltre i miglioramenti incrementali dell’imballaggio, e ripensare invece radicalmente il modo in cui fornire prodotti e servizi all’utente. Ciò comporta il ripensamento del prodotto stesso, ad esempio passando dal sapone liquido al sapone solido, o del modello di business, adottando un modello di riutilizzo, la ricerca di modi per fornire un valore pari o più elevato, con progetti che escludano la produzione di rifiuti.
L’adozione su grande scala di modelli di imballaggio riutilizzabili dovrà necessariamente essere una parte importante della soluzione. I dati del Global Commitment hanno dimostrato che dal 2018 la quota degli imballaggi in plastica riutilizzabili è rimasta pressoché invariata, attestandosi intorno all’1-2%. Questa quota è significativamente al di sotto del livello a cui dobbiamo puntare, dato che il riutilizzo ha un ruolo essenziale da svolgere. Negli ultimi cinque anni si è notato un crescente slancio nell’intero settore e gli attuali progetti pilota rappresentano un passo nella giusta direzione. Tuttavia, sono necessarie azioni più rapide e incisive. A sostegno di ciò, uno dei nostri studi più recenti ha valutato le prestazioni economiche e ambientali dei modelli di imballaggio riutilizzabili e messo a punto raccomandazioni su come adottare queste soluzioni su grande scala.
Quali sono le vostre proposte per affrontare e risolvere il problema delle microplastiche?
Le sempre più numerose prove dell’inquinamento da micro e nanoplastiche e dell’esposizione degli esseri umani, combinate con l’incertezza circa il potenziale impatto di questa esposizione sulla salute umana, costituiscono un argomento importante che necessita urgentemente di ulteriori studi.
Allo stesso tempo, l’incertezza non dovrebbe impedirci di agire ora per ridurre significativamente l’inquinamento da micro e nanoplastiche e la nostra esposizione a tale inquinamento, anche attraverso la riduzione, il riutilizzo, il design dei prodotti, la raccolta e il riciclo dei rifiuti.
Alla luce delle attuali conoscenze, riteniamo che questo rischio per la salute umana offra un motivo in più, accanto alla crisi dei rifiuti, del clima e della biodiversità, per accelerare la transizione verso un’economia circolare. Un’economia in cui tutti i prodotti sono progettati per circolare in sicurezza nell’economia e i rifiuti e l’inquinamento sono eliminati. Su questo argomento specifico si dovrà andare ben oltre gli imballaggi, poiché tra le principali fonti di dispersione di microplastiche vi sono anche i prodotti tessili, pneumatici, vernici, ecc.
Qual è il contributo delle aziende produttrici e utilizzatrici di materie plastiche alle attività della Fondazione?
Le aziende che producono e utilizzano la plastica sono chiaramente una parte del problema, ma possono, e dovrebbero, essere anche parte della soluzione. Hanno il potere e la responsabilità di cambiare il modo in cui si produce, utilizza e riutilizza la plastica. Ecco perché la Fondazione collabora con aziende di ogni dimensione e provenienza al fine di accelerare la transizione verso un’economia circolare, nel settore della plastica e in altri.
Nel quadro dell’iniziativa Global Commitment, molte aziende si sono impegnate a raggiungere obiettivi concreti sul percorso verso un’economia circolare già nel 2025. Tra il 2018 e il 2022, i firmatari di questa iniziativa hanno registrato risultati significativamente superiori ai loro omologhi in quasi tutte le aree target. Hanno stabilizzato l’uso della plastica vergine, rispetto alla crescita dell’11% del settore, e aumentato del 7% il contenuto riciclato nei loro imballaggi (più che raddoppiandolo), rispetto all’1% del mercato globale. L’effetto finale è quello di lasciare nel sottosuolo l’equivalente di un barile di petrolio ogni due secondi, oltre a evitare 2,5 milioni di tonnellate di emissioni di gas serra l’anno. Inoltre, i firmatari posizionati nel quartile più alto hanno dimostrato che è possibile fare anche meglio.
Allo stesso tempo, con gran parte dell’industria che tarda ad agire e i firmatari del Global Commitment che probabilmente non raggiungeranno alcuni degli obiettivi chiave previsti per il 2025, il mondo ancora non riesce a venire a capo del problema dei rifiuti e dell’inquinamento da plastica.
È chiaro che le sole iniziative volontarie delle imprese non saranno mai sufficienti per affrontare il problema dei rifiuti e dell’inquinamento da plastica al ritmo e alla scala richiesti. Abbiamo anche bisogno di misure politiche vincolanti sempre più ambiziose. Il Global Plastics Treaty, il trattato globale sulla plastica attualmente in fase di negoziazione, rappresenta un’opportunità unica per accelerare e armonizzare le politiche sulla plastica a livello globale.
Per questo motivo la Fondazione, insieme al WWF, ha convocato la Business Coalition for a Global Plastics Treaty, riunendo oltre 230 aziende, istituzioni finanziarie e ONG, per chiedere congiuntamente e attivamente la stesura di un trattato ambizioso, con regole e misure globali giuridicamente vincolanti.
Pensa che, almeno in parte, l’industria delle materie plastiche sia stata demonizzata?
La plastica è senza dubbio una delle invenzioni più significative del XX secolo. Dagli imballaggi alimentari agli spazzolini da denti ai pannelli solari, la plastica ha cambiato il modo in cui viviamo. Per converso, gli imballaggi in plastica sono diventati l’immagine stessa di un’economia lineare dispendiosa e fallimentare.
È importante rendersi conto che l’intera economia globale è prevalentemente lineare e dispendiosa in tutti i suoi materiali e settori. Abbiamo assolutamente bisogno di azioni specifiche e urgenti per affrontare il problema dei rifiuti e dell’inquinamento da plastica, ma dobbiamo anche cercare di ridisegnare radicalmente il nostro intero sistema economico, passando da un modello lineare a uno circolare.
Ci sono degli aspetti in particolare su cui l’opinione pubblica internazionale dovrebbe essere sensibilizzata?
A novembre, i delegati dei paesi di tutto il mondo si ritroveranno nella Repubblica di Corea per l’INC-5, l’ultimo round di colloqui pianificato per arrivare a un trattato globale che affronti l’inquinamento da plastica. A informazione di chi non ha seguito il processo negli ultimi due anni, questi negoziati rappresentano un’opportunità irripetibile per stabilire normative armonizzate su come produrre, progettare, utilizzare, riutilizzare, riciclare e smaltire la plastica.
Nulla è ancora deciso e questo processo potrebbe avere esiti molto diversi. Tuttavia, un accordo sulle restrizioni e sull’eliminazione graduale delle plastiche problematiche ed evitabili, sui requisiti di progettazione dei prodotti e sulle politiche di responsabilità estesa del produttore (Extended Producer Responsibility – EPR) potrebbe costituire la base di un trattato efficace che aiuti l’industria a ridurre i rifiuti e l’inquinamento da plastica. I governi non dovrebbero sprecare questa opportunità ma sfruttarla per inserire nel trattato finale obiettivi ambiziosi con regole e misure globali giuridicamente vincolanti.
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