Nuovi materiali flessibili modificano la propria porosità se esposti alla luce. Questa caratteristica li rende adatti all’utilizzo in sistemi per la somministrazione di farmaci o nel campo dell’ingegneria tissutale. La ricerca è stata portata avanti in Giappone dalle università di Kyoto e Tokyo.
I ricercatori dell’Istituto di Scienze dei materiali cellulari integrati (iCeMS) dell’Università di Kyoto e dell’Università di Tokyo hanno sviluppato un materiale cristallino fotoattivo in grado di superare gli ostacoli incontrati negli studi precedenti.
Le molecole fotocromiche modificano il proprio stato elettronico o la propria struttura chimica se esposte alla luce: pertanto, esse possono svolgere un ruolo determinante nello sviluppo di materiali “fotoattivi”, da utilizzare in sistemi per la somministrazione controllata dei farmaci, o nella progettazione di impalcature dinamiche per l’ingegneria tissutale, per citare solo qualche esempio. Finora, tuttavia, il loro utilizzo con materiali solidi si è rivelato difficoltoso, dal momento che questi risultano troppo rigidi per consentire variazioni ripetibili e reversibili.
Susumu Kitagawa dell’iCeMS e Hiroshi Sato dell’Università di Tokyo, insieme ai loro colleghi, hanno elaborato un cristallo poroso flessibile, costituito da un derivato fotoattivo del ditieniletene, ioni di zinco (Zn2+), e 1,4-benzenedicarbossilato.
Il “polimero di coordinazione poroso” era costituito da strati bidimensionali connessi l’uno all’altro da colonne di molecole fotoattive, a creare una struttura a rete tridimensionale. I ricercatori paragonano i componenti interconnessi fra loro a quei rompicapo costituiti da intrecci di fili metallici.
La natura flessibile della struttura a rete consente ai canali di cambiare forma quando vengono esposti alla luce. La distanza tra due strati, infatti, si riduce in presenza di raggi ultravioletti, per poi tornare a crescere quando essi vengono illuminati dalla luce visibile.
Assorbimento della CO2
I ricercatori hanno testato la capacità di questo materiale di assorbire il biossido di carbonio (CO2). Il materiale non irradiato ha assorbito fino a 136 millilitri (ml) di CO2, mentre quando è stato esposto alla luce ultravioletta, i pori si sono ristretti, riducendo la CO2 assorbita a 108 ml. L’esposizione alla luce visibile, infine, ha fatto aumentare di nuovo l’assorbimento di CO2 a 129 ml, sceso poi a 96 ml quando il materiale è stato esposto ancora una volta alla luce ultravioletta.
La struttura a rete del polimero consente quindi queste variazioni reversibili e ripetibili per quanto riguarda l’assorbimento di CO2, consentendo alle molecole fotoattive di trasformarsi e, al contempo, scaricare la deformazione subita nel materiale flessibile.
I test preliminari hanno inoltre rivelato la capacità del cristallo poroso di assorbire anche altri gas, come ad esempio l’azoto, a varie temperature, ma a tale proposito occorre eseguire analisi più approfondite.
“La nostra strategia aprirà le porte a una tipologia del tutto inedita di compound porosi, destinati a fungere da base di partenza per svariate trasformazioni fotochimiche e per la fotomodulazione della porosità”, concludono i ricercatori nel loro studio.
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