Sedie, scrivanie, divisori acustici e cabine per popolare in chiave sostenibile i luoghi di lavoro, domestici e non. Sono numerosi i progetti nell’arredamento che vengono incontro alle tante persone e aziende che hanno adottato lo smart working come nuova modalità di lavoro.
Cosa ci aspetta dopo l’home working emergenziale? È questa la domanda chiave attorno alla quale si svilupperà il dibattito settembrino e sulla quale intere fasce di popolazione impiegatizia si confronteranno con i propri datori di lavoro. Partiamo da una premessa, ovvero una generale convergenza sull’errata definizione e applicazione della parola smartworking nel corso delle ondate pandemiche. Si è trattato, più che altro, di misure di emergenza per evitare il sovraffollamento degli uffici, senza comunque pianificare adeguatamente modalità e dotazioni di chi veniva gradualmente autorizzato a lavorare da remoto.
Per gli italiani è stata una vera rivoluzione, secondo un’indagine realizzata dalla Fondazione Studi dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ad aprile 2021, circa 7,3 milioni di lavoratori lavoravano da casa (31,6%): il 14,8% in forma esclusiva, non andando mai in sede; il 16,8% in modalità ibrida, alternando giorni o settimane in presenza e a distanza. Questo dato deve essere analizzato in termini molto più ampi, partendo dall’inattesa insoddisfazione del 43,5% degli intervistati che si adatterebbe al ritorno in ufficio, 4 su 10 sarebbero infatti lieti di tornare tutti i giorni in presenza.
Non è di nostro interesse e dominio l’analisi di aspetti relazionali e carrieristici. Ben più interessante è invece l’individuazione di dinamiche negative legate ai luoghi e agli strumenti di lavoro. Le donne, ad esempio, hanno sofferto l’inadeguatezza degli spazi casalinghi (42,1% contro 37,9% degli uomini), evidenziando un maggior rischio di disaffezione verso il lavoro. Se a questo aggiungiamo, tra i disturbi censiti, un 48,3% di intervistati che ha pagato il conto per l’utilizzo di sedie e scrivanie improvvisate, la riduzione della concentrazione dovuta all’assenza di isolamento da sorgenti di rumore e l’assenza di privacy durante chiamate e riunioni on-line, capiamo come la contaminazione tra professione e vita privata sia stata vissuta in molti casi in uno stato di perenne sofferenza.
Parallelamente il mondo produttivo si esercitava nell’analisi di queste dinamiche e avviava nel 2020 un generale ripensamento delle proprie soluzioni, puntando verso due direzioni principali: l’e-commerce e la sostenibilità. Alcune imprese hanno autorizzato il prelievo temporaneo di dispositivi e arredi “mobili” dall’ufficio per riallestire velocemente le stesse postazioni in ambiente domestico. La stragrande maggioranza ha invece intuito che gli eventi pandemici non si sarebbero esauriti a maggio 2020, acquistando direttamente on-line quanto necessario (basta pensare al +25% di acquisti registrati nel settore casa e arredo). Per vocazione, per opportunità (la sempre maggiore incentivazione verso acquisti verdi) o semplicemente per la propensione a generare nuovi valori d’impresa, abbiamo registrato un generale ricorso alle plastiche riciclate per lo sviluppo di soluzioni per lo smartworking, al punto da realizzarsi un vero e proprio connubio “ambientalista” basato sulla riduzione degli impatti generati dagli spostamenti casa-lavoro e sulla riduzione di impatti ambientali generati nelle fasi di pre-produzione e produzione a causa del tradizionale ricorso a polimeri vergini.
In questo articolo abbiamo selezionato alcuni progetti che potrebbero guidarci nel prossimo futuro e popolare i nuovi scenari del lavoro di concetto, impiegatizio o videoterminalista in chiave sostenibile. Da un lato progetti strategici ideati per sensibilizzare le comunità locali o metropolitane, dall’altro eccellenze industriali capaci di concretizzare circuiti di approvvigionamento virtuosi e di dare forma ad oggetti per il lavoro quotidiano modellando creativamente le plastiche da riciclo.
Plastic Whale
Nel nostro immaginario le discariche oceaniche che soffocano animali esotici o gli agglomerati di rifiuti calpestati da giovani vite alla ricerca di cibo o di oggetti recuperabili riguardano quasi sempre altri continenti. Difficile quindi pensare che una città come Amsterdam abbia attivato “pescatori di plastica” per i suoi corsi d’acqua. Plastic Whale si definisce come la prima azienda di pesca di plastica al mondo e più di 11.000 persone si sono offerte volontarie per aiutarla a rimuovere la plastica dai canali di Amsterdam da quando l’azienda ha iniziato le sue operazioni di pulizia nel 2011. Oltre 100.000 bottiglie di plastica e più di 2.000 sacchetti di rifiuti di plastica sono stati recuperati. Dieci barche, anch’esse realizzate in plastica riciclata, trasportano regolarmente gli equipaggi sui canali. Negli ultimi tempi Plastic Whale ha iniziato ad investire nei mobili da ufficio per trovare un uso alternativo al proprio incubo ambientale galleggiante. Per il progetto Circular Furniture, Plastic Whale ha collaborato con il produttore di mobili Vepa e lo studio di design Lama per realizzare un set di mobili per ufficio di fascia alta costituito da un tavolo da riunione, una sedia, lampade e pannelli acustici a parete.
Il tavolo, lungo 4 metri, è stato ispirato nella sua parte superiore da una balena affiorante e presenta una cresta rialzata centrale. È realizzato con un sandwich di PET riciclato, FSC multistrato di betulla certificato e placcatura in metallo. Anche la sedia è ispirata alla coda di una balena, con schienale prodotto in feltro PET pressato da riciclo. Il cuscino è realizzato con rifiuti polverizzati e avvolto in una fodera ricavata da bottiglie di plastica riciclata. I cirripedi trovati sulla pelle di una balena ricordano la forma della lampada, che è realizzata in feltro di PET e utilizza lampadine a filamento LED ad alta efficienza energetica. Il feltro PET viene utilizzato anche per realizzare i pannelli acustici, che prevedono anche una retroilluminazione a LED. Tutti i mobili per ufficio sono stati progettati in modo tale che, a fine vita, possano essere disassemblati per riparazione o riciclati per dare vita a nuove idee e strutture.
Divisori acustici
La gestione dei suoni (o dei rumori a seconda dei punti di vista), considerando la sempre maggiore propensione delle imprese ad aggregare i propri addetti in spazi aperti o la graduale diffusione degli spazi di coworking, è diventata un’attività rilevante per i produttori di mobili da ufficio al punto da innescare lo sviluppo di sistemi adattabili per separare le postazioni (desk dividers), sistemi a soffitto con illuminazione integrata, sistemi di separazione tra isole di lavoro (freestanding o sospesi) e sistemi di pannelli fonoassorbenti componibili per muri divisori. Per i puristi dello spazio, una bella iniezione di strutture la quale, se non funzionalmente e stilisticamente ben progettate, spesso conduce ad ambienti occlusi, disordinati e di scarsa valenza estetica. La svizzera Impact Acoustic, ad esempio, ha introdotto i divisori acustici sospesi “Forest” in plastica riciclata, caratterizzati da un progetto di astrazione di una foresta e dalla possibilità di formare un’immagine continua e coerente quando sono utilizzati in gruppo. Con una perforazione del 18% e una larghezza di taglio massima inferiore allo spessore del materiale, l’elemento acustico si presenta molto compatto e robusto. Questo tipo di prodotti sono figli dell’elaborazione digitale, per questo motivo è sempre possibile chiedere “perforazioni” geometriche personalizzate.
Sedie
Le sedute sono da tempo al centro di attività di ricerca e di riciclo creativo delle plastiche. In Europa decine di imprese stanno investendo in progetti di economia circolare, basati sulla trasformazione dei rifiuti plastici in sedili, schienali, monoscocche, singole carterature estetiche o componenti strutturali. Non si tratta di greenwashing, come spesso accade in alcune operazioni dove il materiale innovativo non è realmente derivante da circuiti tracciabili di raccolta differenziata o dove la sua percentuale rispetto al totale impiegato è praticamente irrilevante. Nasce in una logica virtuosa il progetto Remind di Pedrali, ottenuta recuperando imballaggi alimentari e bottigliette in PET, oltre agli scarti plastici del proprio ciclo produttivo. Remind è realizzata in Recycled Gray, materiale dal colore grigio, in grado di celare le imperfezioni dovute al riciclo della plastica.
Per la casa-ufficio, Makeup di Diemmebi utilizza sedile e schienale in polipropilene riciclato su classica struttura a razze metalliche. Anche la Tip Ton RE di Vitra è stata prodotta recuperando i rifiuti plastici ed è anch’essa realizzata in colore grigio per evocare la sua natura sostenibile, evidenziando in superficie la presenza di puntini pigmentati che creano un vivace effetto visivo. Non da meno gli intenti di Arper che, con il progetto Adell, ha dichiarato di perseguire gli obiettivi di “riduzione, riutilizzo e riciclaggio”, celebrando la plastica per la sua espressività, longevità e robustezza e, in controtendenza, bocciando l’uso della bioplastica proprio per ragioni ambientali (impatto sull’agricoltura derivante da deforestazione, consumo d’acqua, uso di fertilizzanti e pesticidi e necessità di infrastrutture apposite per il riciclaggio). Adell promuove quindi il riciclaggio come business profittevole, riciclare la plastica in circolazione è stata per Arper la strategia migliore.
In questo elenco non poteva mancare Magis con la sua Bell Chair, sedia impilabile in polipropilene riciclato derivante dal recupero degli scarti di produzione dell’azienda. Spazio infine alle icone del design, con la versione “Sacco Goes Green” del Sacco di Zanotta, edizione limitata del pezzo iconico del design italiano con rivestimento in Econyl(r), filamento ottenuto recuperando le reti da pesca dai fondali marini, e imbottitura formata da microsfere di BioFoam®, una plastica biodegradabile prodotta in modo naturale dalla canna da zucchero.
Piani e scrivanie
L’uso del tavolo domestico come scrivania ha caratterizzato l’esistenza di molti smartworkers, soprattutto di coloro che abitano in mini-appartamenti e non possiedono stanze dedicate allo studio o alla concentrazione. Anche in questo caso sono nate, nel giro di poco tempo, diverse soluzioni (estraibili, ribaltabili, a muro, fronte-retro). Molte di queste idee sono state tradotte in arredi consegnati completamente disassemblati per limitare l’impatto ambientale durante le fasi di stoccaggio e spedizione.
Alcune imprese hanno sperimentato l’uso di piani in plastiche riciclate, come nel caso della francese TIPTOE che dichiara di aver usato vasetti di yoghurt ridotti in trucioli e poi pressati (senza l’aggiunta di legante) per formare il piano. Il piano bianco è punteggiato, il motivo ricorda la tecnica del “terrazzo” con divertenti combinazioni di colori. Ogni piano in plastica riciclata è unico, il colore e le fantasie possono variare. Le diverse forme e dimensioni dei piani si adattano ad un’ampia gamma di contesti, per attività lavorative sono disponibili scrivanie singole per ambienti privati o grandi scrivanie per open space. L’assemblaggio finale si svolge in Francia in un ESAT, un istituto medico-sociale che opera per l’integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità.
Cabine e office pods
Trattasi, sicuramente, di strutture atipiche, figlie legittime del periodo che stiamo vivendo. Qualche visionario ci era arrivato tempo fa, l’uomo incapsulato avrebbe popolato il nuovo millennio, sia facendosi trasportare in percorsi predefiniti per la mobilità urbana sia nelle attività lavorative. Le necessità di isolamento e di concentrazione, la paura del contagio e la sempre maggiore velocità con la quale si attivano e si chiudono le sessioni lavorative a distanza hanno ispirato la produzione di vere e proprie cabine telefoniche attrezzate con tutto il necessario per ospitare il lavoratore contemporaneo. Spesso realizzate in materiali poveri e riciclati, posizionabili nelle sale d’attesa, nelle abitazioni, nei giardini o negli open space, sono dotate di ventilazione integrata, luce, prese di corrente e porte USB che vengono attivate da un sensore di movimento.
Se il 50% della popolazione ha difficoltà a concentrarsi in uffici aperti, se abbiamo bisogno di circa 20 minuti per recuperare concentrazione dopo una piccola distrazione, se la nostra produttività cala del 15% in meno in presenza di altri colleghi, allora la diffusione delle cabine avrà probabilmente vita facile. Anche qui, oltre ai telai realizzati in alcuni casi in cartone, le pelli acustiche sono in gomma riciclata mentre la maggior parte dei rivestimenti derivano dal riciclo di PET per assorbire le emissioni sonore interne e dall’esterno.
a cura di Ubaldo Spina
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