Ricercatori del MIT (Massachusetts Institute of Technology) hanno sviluppato un nuovo processo per la produzione di termoindurenti, che permette poi di riciclarli più facilmente riducendoli in polvere. Questa classe di materiali risulta sempre difficile da riciclare o anche solo ridurre in pezzi proprio a causa dei legami chimici che tengono insieme il termoindurente, ben più forti dei legami tipici invece di materiali come le termoplastiche. Termoindurenti quali resine epossidiche, poliuretani e gomma vulcanizzata per pneumatici, vengono utilizzati in prodotti che devono avere una lunga durata di vita e devono essere particolarmente resistenti al calore, come nei veicoli e nelle apparecchiature elettroniche. Ricercatori chimici del MIT hanno trovato il modo di modificare le materie plastiche termoindurenti con un linker chimico che rende il materiale più facile da rompere, pur lasciando che questo mantenga la sua tipica resistenza meccanica. I ricercatori hanno prodotto una versione degradabile di una plastica termoindurente chiamata pDCPD (polidiciclopentadiene), l’hanno ridotta in polvere e riutilizzata per produrre nuovo pDCPD. È stato messo a punto anche un modello teorico che suggerisce che lo stesso approccio potrebbe essere applicato a molte più plastiche e altri polimeri, come la gomma. È
Riciclo pastiche termoindurenti: la ricerca del MIT
Le plastiche termoindurenti sono prodotte in modo simile alle termoplastiche, con la differenza fondamentale che le termoindurenti una volta raffreddate e quindi solidificate è molto difficile farle tornare allo stato liquido. Questo perché i legami chimici che si formano tra le molecole polimeriche sono dei legami covalenti, particolarmente forti e difficili da rompere. Solitamente, quando delle plastiche termoindurenti vengono riscaldate, carbonizzano prima che possano essere rimodellate. Una volta che sono state lavorate in una certa forma, mantengono quella forma per sempre. Non vi è quindi un modo facile di riciclarle.
Il team del MIT ha trovato il modo di lasciare inalterate le importanti proprietà di resistenza e durata delle termoindurenti, pur rendendo il riciclo più facile. Lo spunto è arrivato da una precedente ricerca in cui si erano creati dei polimeri degradabili per il trasporto dei farmaci nel corpo umano fino al punto di intervento utilizzando un building block, o monomero, che conteneva silil eteri. Questo monomero viene distribuito in tutto il materiale e quando il materiale viene esposto ad acidi, basi o ioni come il fluoruro, i legami silil eteri si rompono. Nel caso delle plastiche termoindurenti il team di chimici ha utilizzato lo stesso tipo di reazione chimica per sintetizzarle, incluso il pDCPD che viene usato per la produzione di pannelli per la carrozzeria di camion e autobus. Sono stati quindi aggiunti dei monomeri silil eteri ai precursori liquidi che formano il polidiciclopentadiene. Si è visto che con una quantità di monomero silil etere tra il 7,5 e il 10% di tutto il materiale, il polidiciclopentadiene mantiene le sue caratteristiche meccaniche ma può essere ridotto in polvere solubile quando esposto agli ioni fluoruro.
La seconda fase della ricerca si è focalizzata quindi nella produzione di nuovo pDCPD a partire dalla polvere in cui è stata ridotta la plastica termoindurente. Dopo aver dissolto la polvere nel precursore liquido utilizzato per la produzione di polidiciclopentadiene, i ricercatori sono stati in grado di produrre nuovamente questa plastica termoindurente. Le caratteristiche sono risultate praticamente inalterate e in alcuni casi addirittura le proprietà meccaniche sono migliorate in confronto al materiale vergine.
Con questo studio i ricercatori hanno notato quindi che l’uso di monomeri degradabili per formare le catene polimeriche è più efficace dell’impiego dei legami degradabili per la reticolazione – metodo, questo, già provato nei termoindurenti, senza successo. Se dunque si riuscissero a trovare altri monomeri degradabili per altri tipi di reazioni polimeriche, questo metodo potrebbe essere utilizzato per creare delle versioni degradabili anche di altri materiali termoindurenti come resine acriliche, resine epossidiche, siliconi e gomma vulcanizzata.
Da un’analisi portata avanti dal team con la filiera dell’automotive, è emerso che le aziende manufatturiere di componenti potrebbero usufruire di un materiale riciclato a basso costo e i produttori di veicoli risponderebbero agli obiettivi di sostenibilità, mentre i riciclatori avvierebbero un nuovo flusso di materiali con le plastiche termoindurenti.
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